C’era una volta l’Est

3 Mar , 2011 Film reviews

C’era una volta l’Est

Sul n. 168 di Segnocinema mi sono occupato di due temi geograficamente opposti: il West americano, attraverso la recensione de Il Grinta, il nuovo film dei fratelli Coen, e l’Est italiano, con un breve articolo sul problema della frontiera orientale italiana nel secondo dopoguerra e i film che lo mettono a tema, nello speciale su “Italia come italiani. L’idea di nazione e nazionalità nel cinema italiano”.

Ecco le prime righe della recensione de Il Grinta: «True Grit è un nuovo capitolo della riflessione dei Coen sul tema della punizione, del castigo che viene, una volta o l’altra, in una forma o in un’altra, per l’empio e persino, in scherno alla giustizia terrena, per l’uomo giusto e timorato di Dio. “Si deve pagare per tutto in questo mondo in un modo o nell’altro – dice Mattie venticinque anni dopo la grande avventura che l’aveva portata a vendicare il padre ucciso da Tom Chaney per banali questioni da saloon –. Niente è gratuito, tranne la grazia di Dio”. Se si volesse tentare un confronto con Non è un paese per vecchi, western contemporaneo e atipico, è chiaro che Rooster Cogburn non è Anton Chigurh. Non ammazza la gente delegando le proprie responsabilità a una moneta e alla fortuna. È un uomo di legge (anche se come tutti gli eroi western il suo passato è segnato da una ferita che lo ha fatto sbandare) e se ha il grilletto facile e ammazza un bandito è perché proprio non si poteva altrimenti…». Il resto della recensione è qui.

L’articolo sulla relazione fra il cinema del dopoguerra e la questione del confine orientale italiano è scritto a quattro mani con Francesca Gambaro, autrice di un libro di carattere sociologico sull’esodo degli italiani dalla città di Zara. Nel tumulto geopolitico dell’immediato secondo dopoguerra, il confine orientale italiano (quello che è oggi è assestato sulla linea Trieste-Gorizia, ma che prima del Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947 includeva buona parte dell’Istria e le città di Fiume e Zara) finì per coincidere con l’argine fra Europa occidentale e area d’influenza sovietica. La perdita di quei territori da secoli abitati da una popolazione di lingua e cultura italiana e gli infoibamenti perpetrati dai comunisti slavi del maresciallo Tito costrinsero centinaia di migliaia di italiani all’esodo. Soprusi rimasti a lungo taciuti dalla storia ufficiale, ma che già a ridosso di quegli anni il cinema aveva provato a testimoniare. Esiste una ristretta e poco conosciuta produzione cinematografica che mette a tema proprio la complessa vicenda di un’unità nazionale pagata a caro prezzo sul fronte orientale. Le opere di maggior rilievo sono interessanti non solo per ragioni storiche, ma anche per aver segnato la carriera di personaggi che avrebbero avuto negli anni a seguire un ruolo di spicco nel panorma cinematografico italiano. Il primo è La città dolente di Mario Bonnard (1949), con un sceneggiatura firmata tra gli altri anche da Federico Fellini; il secondo è Cuori senza frontiere di Luigi Zampa (1950), interpretato da Gina Lollobrigida, Raf Vallone ed Enzo Staiola.

La città dolente (Mario Bonnard, 1949) e Cuori senza frontiere (Luigi Zampa, 1950)


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